Teatro Stanze Segrete va in scenza DIDONE

Dal 17 al 29 novembre 2015 il Le Stanze Segrete presenta
DIDONE
di Giuseppe Manfridi

Con Marina Guadagno e Fabrizio Pucci
Regia di Fabrizio Pucci

Assistente alla Regia IRMA CAROLINA DI MONTE – Disegno luci STEFANO LATTAVO
Tecnico audio/luci LUCREZIA LANZA – Scene e Costumi LIDIA TAVANTI – Scene SEBASTIANO VIANELLO
Hair Stylist & Makeup Artist LUCA FALCETTI – Progetto Grafico e ELEONORA ASQUINO

 

Stanze Segrete
Via della Penitenza, 3 ( Trastevere )
tel. 06.6872690 / 3889246033
Botteghino: dalle 18,30 alle 21
consigliata prenotazione tel. Posti 40.

 

Torna il 17 novembre nel Teatro Stanze Segrete di Roma l’avvincente storia di Didone, narrata in versi da Giuseppe Manfridi, interpretata da Marina Guadagno (attrice, doppiatrice e insegnante di recitazione; negli anni lavora con importanti registi teatrali come Giorgio Albertazzi, Franco Però, Livio Galassi…) insieme a Fabrizio Pucci (attore, doppiatore, regista e direttore di doppiaggio; in teatro ha lavorato con Aldo Trionfo, Roberto Guicciardini, Mario Scaccia, Sandro Sequi, Nando Gazzolo, Mariano Rigillo, Armando Pugliese; è noto al grande pubblico per essere la voce di Hugh Jackman, Russell Crowe, Brendan Fraser, Antonio Banderas, Tom Hanks e molti altri) che ne cura anche la regia.

Ci troviamo di fronte all’originale rivisitazione di una fra le più belle pagine della letteratura latina, attraverso la trasformazione di un dramma antico in un dramma eterno, per molti versi contemporaneo: quante belle, piene di talento e di valore, si sono perse seguendo uomini che le hanno condotte alla rovina? E viene quasi spontaneo pensare a Claretta Petacci e Benito Mussolini mentre ripercorriamo l’amore di Didone ed Enea in questo allestimento pensato negli anni ’30-’40, con musiche e costumi che straniandoci dall’epoca classica ci fanno attraversare la storia, l’attualità e anche un po’ noi stessi.

Sinossi: Ovidio, già vecchio, evoca Didone, la regina fenicia che aveva giurato di non innamorarsi più dopo la morte del marito Sicheo e che invece si lascia bruciare dalla passione per Enea fino a suicidarsi con la sua spada dopo la partenza dell’eroe troiano. Ovidio crede di trovare in lei un’ispirazione, ma inconsapevolmente compie un atto di stregoneria: Didone gli rivelerà di non essere stata evocata, ma raggiunta. Dove sta avvenendo il loro colloquio? Nell’oltremondo? E colui che domanda, perché si trova lì?
Tra intensità tragiche e repentini slanci di frivolezza, Didone ripercorrerà il filo della sua rovinosa storia d’amore con Enea, illuminandola però di una luce nuova. Adesso lei è un nume luminoso che ha accesso a segreti che per il poeta Ovidio sono un mistero, ma contemporaneamente resta una donna palpitante e innamorata che ha barattato la propria vita con un ruolo tragico e marginale nel destino di un grande condottiero.

HANNO SCRITTO:

“ Il bel testo in versi di Giuseppe Manfridi ha portato in scena una delle più belle figure della mitologia classica, trasferendola per l’occasione in una suggestiva ambientazione anni Trenta ma mantenendone avvincenti la tragica storia d’amore e tutte le sue emozioni…” – Saltinaria.it

“Una calda e atmosfera sensuale introduce una figura misteriosa e malinconica, elegante, sorniona, accattivante come le musiche e l’ambientazione anni ’30…” – Oltrecultura.it

“Al teatro-salotto di via della Penitenza una straordinaria Marina Guadagno è Didone, eroina strappata al mito e prestata agli anni Quaranta…” – Persinsala.it

Note dell’autore Giuseppe Manfridi
Ovidio, nella sua vecchiaia, evoca Didone per interrogarla sulla storia che ha vissuto, sulla vita che declina e sullo svanire delle cose. Ritiene di aver compiuto, così, un gesto da fine intellettuale, da saggio ancora curioso della natura umana.
In verità, è come se avesse operato un sortilegio stregonesco di cui non ha pieno dominio. La donna con cui si confronta gli rivelerà di non essere stata evocata, ma raggiunta. E dunque, dove sta avvenendo il loro colloquio? Forse nell’oltremondo? E colui che domanda, come mai si trova lì?
In breve, la donna, assumerà quasi le fattezze di un fascinoso nume che sembra avere tra le mani le fila di esistenze altrui, e coscienza di segreti che all’anziano poeta sono inaccessibili.
Tra intensità tragiche e repentini slanci di frivolezza, Didone raccontando di sé, ripercorrerà il filo delle proprie vicende illuminandole di una luce nuova, e dando voce al suo amore per Enea e a quello, assai più ambiguo, di Enea per lei, dirà cose che l’altro mai avrebbe immaginato di sentirsi dire. A sorprendere, della donna, è soprattutto la formidabile vitalità, come di una creatura ancora palpitante e pervasa da un furore presente, e prossima, da un istante all’altro, a ripercorrere in senso inverso il tragitto che l’ha portata nell’Ade.

Note del regista Fabrizio Pucci
La storia di Didone … La favola di Didone … Il mito di Didone. Una donna di valore, fiera, intelligente, bella e astuta. Una donna che anche travolta dalla sciagurata perdita del marito Sicheo, non si rassegna al ruolo di vedova impostole dalla maschilista ellenica, rifiuta di diventare l’ornamento del re Giarba, ne rifiuta la sua protezione, e grazie al suo ingegno, fonda Cartagine e si fa regina…Ma la strada di Didone, si incrocia rovinosamente con quella del condottiero troiano Enea. In Didone scocca la scintilla di un grande amore, di una travolgente passione, che le fa abbandonare la prudenza e la razionalità, e la conduce a una morte struggente. E questo è l’aspetto più universalmente moderno che io ho voluto focalizzare e che ho creduto di cogliere nello scritto di Giuseppe Manfridi. La vita di giovani donne di valore, belle, intelligenti, che finiscono nella fornace a causa dell’amore passionale per uomini che le trascinano con se nella folle corsa alla realizzazione del loro “grande disegno”. Donne innamorate che si perdono nell’incontro con “gli uomini del destino”, politici, statisti, condottieri, che travolgono nella loro rovinosa caduta le donne che li amano. Questo è il motivo per cui ho voluto ambientare il dramma di Didone negli anni 30/40. Perché in qualche modo il gusto di quegli anni ci suggerisse un rapporto che mi è sembrato significativo in questo senso: quello tra Claretta Petacci e Benito Mussolini. Ovviamente la figura di Claretta e quella di Didone sono molto differenti. Ma il motore della loro distruzione è lo stesso … L’amore incondizionato per il loro uomo, di cui non condividono il grande disegno politico, che le trascina alla morte. Come ho detto si tratta solo di una suggestione, perché le analogie tra le due donne si fermano qui. La narrazione registica dello spettacolo parte dalla donna Didone, raggiunta e non evocata dal poeta Ovidio, in un non luogo, forse l’oltremondo, forse semplicemente la sua casa, per arrivare tramite ad un percorso in sottrazione, all’essenza di Didone, al suo Mito.

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