
La rassegna promossa da Roma capitale, progettata da Helga Prignitz Proda – esperta dell’opera di Frida Kahlo – permette di apprezzare circa 160 opere tra dipinti a olio, disegni, 40 ritratti e autoritratti, notevoli capolavori pervenuti da collezioni o da raccolte pubbliche e private provenienti dal Messico, Stati Uniti ed Europa.
Personalità molto forte e indipendente ritrae sé stessa e l’amore per il suo paese trasferendo nella pittura lo spirito popolare delle tradizioni e del passato indigeno con le suggestioni dei principali movimenti artistici che interessarono il Messico, dal Pauperismo al Surrealismo, al Realismo magico.
Nei suoi dipinti si avverte l’indiscutibile legame tra arte e vita e le sue vicende personali si confondono con quelle del mondo a lei contemporaneo che anticiparono e seguirono la rivoluzione messicana. Ribelle indomabile fin da adolescente, aveva aderito apertamente al comunismo.
Frida Kahlo si sentiva, infatti figlia della rivoluzione e di quelle idee; affermava di essere nata nel 1910 e non nel 1907: “voglio trasformare la mia pittura in qualcosa di utile per il movimento rivoluzionario comunista, dato che fin’ora ho dipinto solo l’espressione di me stessa”. I simboli politici che metteva ovunque erano un modo di provocare in quanto il suo ideale libertario e puro di comunismo non trovava riscontro nella pratica.
Sono esposti anche quadri di una serie di pittori che hanno vissuto fisicamente e artisticamente vicino a lei per approfondirne l’influenza stilistica; e le fotografie che tanti fotografi le dedicarono, soprattutto quelle di Nickolas Muray.

I suoi ritratti e i suoi primi lavori rappresentano spesso gli aspetti drammatici della sua vita, come il tema del rapporto con il corpo che ricorre in modo ossessivo.
Tra i ritratti più belli: Autoritratto con collana di spine e colibrì del 1940, per la prima volta esposto in Italia; Ritratto del marito Diego Rivera, anche lui pittore messicano; Autoritratto con abito di velluto del 1926 dipinto a soli 19 anni, dove il collo allungato ricorda Modigliani e ancora Ritratto di Alejandro Gómez Arias, il suo amore di bambina, Autoritratto con scimmie, Autoritratto con treccia, Autoritratto come Tehuana, Autoritratto al confine con Messico e Stati Uniti.
Molte tele sono identificative del suo carattere, molte non ancora identificate, altre hanno delle simbologie che si perdono nella fantasia più intima di Frida e nelle memorie ancestrali del Messico.
In tutte si riflette un universo di grande sofferenza. Momenti di vita senza pudore, ma con tanto dolore: sangue, abbracci, seni nudi e ventri sterili, spine e allusivi simbolismi, resi con meravigliosi tocchi di colore. La sua interiorità e il modo di percepire il mondo è affidato ad un pensiero del suo diario: “l’angoscia e il dolore, il piacere e la morte non sono che un processo per esistere”.
Elementi fantastici sono di derivazione surrealista. Conobbe infatti André Breton suo primo estimatore, ma non si considerava una surrealista: “ho sempre dipinto la mia realtà non i miei sogni”. Una donna che ha detto tutto ciò che amava con la pittura. Ha cercato infatti di rendere accessibile agli altri le immagini di libertà e passione con cui ha saputo colorare la sua vita senza nasconderla nell’inconscio.
Tanta serenità ai tormenti di una vita avversa nelle ultime parole che scrisse prima di morire : “Spero che l’uscita sia gioiosa e spero di non tornare mai più”.
Per informazioni www.scuderiequirinale.it
