- Cosa: “Le cose che restano”, spettacolo ideato e diretto da Alessandro Businaro con drammaturgia di Stefano Fortin.
- Dove e Quando: TeatroBasilica (Piazza di Porta San Giovanni 10, Roma). 6 dicembre 2025 (ore 21:00) e 7 dicembre 2025 (ore 16:30).
- Perché: Un’indagine toccante e filosofica sulla gestione del lutto, dove il confine tra ricordo, immaginazione e necessità di dimenticare si fa labile.
La memoria è, da sempre, il pilastro su cui si fonda la percezione dell’essere umano. La nostra identità, lungi dall’essere un monolite immutabile, è un cantiere aperto, una costruzione perenne che si nutre di rievocazioni, riformulazioni e, inevitabilmente, cancellazioni del passato. È proprio su questo terreno scivoloso e affascinante che si muove Le cose che restano, la nuova produzione di Tib Teatro che approda sul palcoscenico romano del TeatroBasilica.
Lo spettacolo, ideato e diretto da Alessandro Businaro, con la drammaturgia raffinata di Stefano Fortin, porta in scena un duetto intenso affidato a Grazia Capraro e Vassilij Gianmaria Mangheras. Non si tratta di una semplice narrazione lineare, ma di un’esperienza immersiva nella fragilità dei rapporti umani di fronte all’assenza. Al centro della rappresentazione c’è il tentativo disperato e vitale di dare un senso a ciò che sopravvive dopo una tempesta emotiva, esplorando le dinamiche complesse che legano chi resta a chi non c’è più, in un continuo altalenare tra la necessità di trattenere e l’urgenza di lasciar andare.
Un tavolo, una torta e il tempo che si scioglie
La scena si apre su un interno domestico che assume i contorni di un luogo della mente: una cucina essenziale, bianca, che evoca il mondo prima di una ferita insanabile. Al centro, un tavolo e una torta suggeriscono un momento di celebrazione, forse un compleanno o una ricorrenza, ma l’atmosfera è sospesa. Una coppia, Lui e Lei, si muove in questo spazio mentre fuori una pioggia incessante minaccia di inondare ogni cosa, metafora liquida di un dolore che preme ai confini della coscienza.
I due protagonisti giocano, si scontrano e si riappacificano, ma lo spettatore viene presto avvolto da un dubbio fondamentale: chi sta parlando a chi? La regia di Businaro lavora sulla liquefazione del tempo, rendendo difficile distinguere il piano della realtà da quello del ricordo o della pura immaginazione. Quello che accade sul palco potrebbe essere un tentativo di ricordare, o forse, paradossalmente, un tentativo di dimenticare. È il racconto di un naufragio emotivo, dove i frammenti di un passato condiviso – i riti familiari, il linguaggio in codice dell’amore – galleggiano in una stanza che rischia di essere sommersa. La cucina bianca diventa così il teatro di una lotta interiore per elaborare una perdita improvvisa e lacerante, come quella causata dal suicidio della persona con cui si era progettato il futuro.
La dialettica tra ricordo e perdono
Il testo dello spettacolo affonda le sue radici in una profonda riflessione filosofica, richiamando il pensiero di Paul Ricoeur e i suoi studi sul tempo e il racconto. La drammaturgia di Fortin ruota attorno a tre verbi cardine: ricordare, dimenticare e perdonare. L’assunto di base è che non possa esistere ricordo senza dimenticanza, e che l’azione della memoria non abbia un senso compiuto per l’individuo se non conduce a una forma di perdono. Non un perdono inteso in senso puramente sentimentale, ma come atto necessario per permettere al presente di esistere e al futuro di essere immaginato.
In questo processo di ricostruzione identitaria, lo spettacolo attinge anche alle teorie di Aleida Assmann sui “Sette modi per dimenticare”. La protagonista mette in atto una vera e propria mnemotecnica al contrario: nascondere, sovrascrivere, neutralizzare e perdere sono le azioni che il suo pensiero monologante tenta di evocare. È uno sforzo immane, spesso inutile, simile a quello necessario per ricordare. Le azioni si susseguono e collassano l’una nell’altra, creando un “tempo fuor sesto” che concentra in un’ora di spettacolo il peso di una vita intera. La memoria diventa così un campo di battaglia dove l’oblio non è un nemico, ma uno strumento necessario per la sopravvivenza psichica, un modo per gestire il trauma e tentare di perdonare ciò che è accaduto.
Dallo studio alla scena: un percorso di otto anni
La genesi di Le cose che restano è lunga e stratificata, frutto di un lavoro di ricerca iniziato ben otto anni fa. L’input iniziale per il regista non è stato di natura antropologica, ma è scaturito dall’esperienza diretta di un evento traumatico. Questo vissuto personale ha dato il via a una ricerca “sotterranea” che ha visto diverse tappe di evoluzione. Nel 2016, una prima stesura drammaturgica realizzata con Irene Gandolfi e l’attrice Grazia Capraro aveva già evidenziato come il tema del lutto fosse solo la punta dell’iceberg di un discorso molto più ampio e complesso.
Nel corso degli anni, e grazie alla collaborazione stabile con Stefano Fortin dal 2019, i temi si sono specificati e raffinati. Il lavoro drammaturgico attuale nasce quasi come un “telefono senza fili” temporale: Fortin ha lavorato sulla narrazione di uno spettacolo che non aveva visto, basandosi sui ricordi del regista. Questo metodo di scrittura ha replicato, nella pratica creativa, il tema stesso dell’opera: proprio come in un naufragio, si è salvato solo ciò che si riusciva a trattenere, frammenti forse non essenziali ma significativi. Il risultato è un testo che rende omaggio alla memoria nascondendo al suo interno citazioni e rimandi, un viaggio intimo dedicato a chi deve imparare a vivere con la paura di sparire e la difficoltà di dimenticare.
Info utili
- Luogo: TeatroBasilica, Piazza di Porta San Giovanni 10, Roma.
- Date e Orari:
- Venerdì 6 dicembre 2025, ore 21:00.
- Sabato 7 dicembre 2025, ore 16:30.
- Prezzi e Biglietti: Per informazioni sui costi e prenotazioni, consultare il sito ufficiale.
- Contatti:
- Sito web ufficiale teatrobasilica
Email info: info@teatrobasilica.com - Telefono: +39 392 9768519
- Sito web ufficiale teatrobasilica
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