- Cosa: “Soglie del visibile / Thresholds of the Visible”, mostra collettiva di fotografia.
- Dove e Quando: Galleria Zema (Via Giulia, 201), dal 29 novembre 2025 al 10 gennaio 2026.
- Perché: Un’occasione per esplorare la fotografia non come semplice specchio della realtà, ma come esperienza tattile ed emotiva attraverso lo sguardo di tre artiste contemporanee.
Il panorama artistico della Capitale si arricchisce di un nuovo capitolo dedicato alla ricerca visiva più raffinata, ospitato nel cuore pulsante del centro storico. In via Giulia, strada che da secoli custodisce la memoria e l’eleganza di Roma, la Galleria Zema si conferma un avamposto culturale di rilievo, focalizzato su una missione precisa: dare voce e spazio alla fotografia contemporanea femminile. Con l’inaugurazione della mostra “Soglie del visibile”, curata da Emanuela Zamparelli, lo spazio espositivo propone un dialogo intimo e profondo tra tre diverse sensibilità artistiche – quelle di Gaia Adducchio, Luisa Briganti e Simona Caprioli – unite da una tensione comune verso il superamento della mera rappresentazione documentaria.
Non si tratta, infatti, di una semplice rassegna di immagini, ma di un invito a riconsiderare il medium fotografico nella sua essenza più viscerale. In un’epoca dominata dalla proliferazione istantanea e spesso superficiale delle immagini digitali, questa esposizione chiede al visitatore di rallentare e di porsi in ascolto. Le opere selezionate non cercano di descrivere il mondo in modo didascalico, bensì di attraversarlo, trasformando la luce e la materia in un atto percettivo complesso che coinvolge non solo la vista, ma anche la memoria, il corpo e il tempo interiore di chi osserva.
La fotografia come esperienza sensibile e contatto
Il filo conduttore che lega le opere in mostra è la volontà di restituire alla fotografia la sua dimensione di esperienza sensibile, allontanandosi dalla freddezza dell’obiettivo che si limita a registrare dati. La curatela di Emanuela Zamparelli mette in luce proprio questo aspetto cruciale: il momento in cui l’immagine smette di essere una copia della realtà per diventare una “soglia”, un punto di passaggio tra il visibile e l’invisibile. In questo contesto, lo scatto fotografico recupera una fisicità quasi perduta, diventando una forma di contatto diretto con la materia del mondo. È una ricerca che scava sotto la superficie delle cose, cercando di catturare non l’apparenza, ma la vibrazione nascosta che anima i soggetti, siano essi corpi in movimento, paesaggi silenziosi o astrazioni chimiche.
Questa visione si traduce in un percorso espositivo dove ogni opera agisce come un varco temporale e spaziale. L’atto del guardare non è più passivo, ma richiede una partecipazione attiva: il visitatore è chiamato a entrare in risonanza con le opere, a percepire il “respiro” dell’immagine. La fotografia, liberata dall’obbligo della narrazione cronachistica, diventa un linguaggio autonomo capace di esplorare l’interiorità e di dare forma a sensazioni che spesso sfuggono alla parola scritta. È in questo spazio intermedio, fragile e luminoso, che l’arte visiva recupera la sua potenza evocativa, trasformando la percezione in un’esperienza estetica totalizzante che riconnette l’osservatore alla propria dimensione sensoriale.
Dialoghi tra materia organica e ritmo del corpo
Approfondendo i percorsi individuali delle artiste, emerge con forza la ricerca materica di Gaia Adducchio. Nel suo lavoro, la fotografia analogica e in particolare l’uso della polaroid diventano strumenti per un’indagine che ha il sapore dell’alchimia. L’emulsione fotografica non è trattata come un supporto inerte, ma come una sostanza organica viva, capace di muoversi e trasformarsi. Le sue immagini sembrano affiorare da una memoria ancestrale, dove il colore e la forma si fondono in un gesto creativo che è un atto di fiducia nel potere trasformativo della materia stessa. C’è una componente di imprevedibilità e di “errore” controllato che rende ogni opera un pezzo unico, un frammento di realtà che si è sedimentato sulla pellicola attraverso un processo chimico che ricorda la biologia dei corpi.
Parallelamente, ma con un linguaggio differente, si muove la ricerca di Luisa Briganti, dove il fulcro dell’indagine è il ritmo e la presenza fisica. Nelle sue opere, la staticità intrinseca del mezzo fotografico viene sfidata e infranta dalla danza e dal movimento. Il corpo non è un oggetto da ritrarre in posa, ma un soggetto che scrive nello spazio attraverso il proprio dinamismo. Briganti riesce nel difficile compito di non congelare l’attimo, ma di prolungarlo, trattenendo la vibrazione del gesto fino a renderla eterna. La pelle diventa linguaggio, il desiderio si fa movimento, e la fotografia si trasforma in una partitura visiva dove il tempo non è fermo, ma scorre fluido, permettendo all’osservatore di percepire l’energia cinetica che ha generato l’immagine.
Il paesaggio interiore e la vocazione di uno spazio al femminile
Il percorso si completa con la poetica di Simona Caprioli, che invita a un cambio di passo verso la contemplazione e il silenzio. Le sue immagini, rigorosamente in bianco e nero, si muovono sul confine sottile tra luce e ombra, tra presenza e dissolvenza. Qui lo sguardo si fa lento, meditativo: Caprioli esplora la soglia tra ciò che è reale e ciò che è immaginato, trasformando il paesaggio esteriore in un’eco del mondo interiore. Le sue fotografie sono stanze della memoria dove lo spazio si dilata, invitando chi guarda a perdersi in un’atmosfera sospesa, quasi onirica. È un cammino visivo che non cerca risposte urlate, ma sussurra domande sulla natura della nostra percezione e sul modo in cui i luoghi che attraversiamo si imprimono nella nostra coscienza.
La mostra “Soglie del visibile” rappresenta perfettamente l’identità della Galleria Zema, uno spazio indipendente nato con l’intento specifico di promuovere il lavoro delle donne nell’arte. Fondata proprio nel 2025, la galleria non è solo un luogo espositivo, ma un progetto curatoriale che intende la fotografia come forma di resistenza e relazione. In un contesto culturale che necessita sempre più di sguardi autonomi e critici, dare spazio a una visione femminile che intreccia ricerca artistica e riflessione sull’identità significa offrire al pubblico nuove chiavi di lettura del presente. Attraverso mostre come questa, si ribadisce l’importanza di un’arte che sappia essere al contempo intima e universale, capace di dare nuova forma al vissuto e alla memoria collettiva.
Info utili
- Orari: Martedì ore 16:00 – 19:30; dal mercoledì al sabato ore 15:00 – 19:30.
- Indirizzo: Galleria Zema, Via Giulia 201, Roma.
- Date: Dal 29 novembre 2025 al 10 gennaio 2026 (Inaugurazione 29 novembre ore 16:30).
(Foto: Illusione, Simona Caprioli)
(Immagine utilizzata a solo scopo informativo; tutti i diritti d’autore e di proprietà restano esclusivamente ai legittimi proprietari)
