Cristo risorto benedicente, 1480-1485 circa
Cristo risorto benedicente, 1480-1485 circa

L’umanesimo di Giovanni Bellini

Cristo risorto benedicente, 1480-1485 circa Volevamo stupirvi con i nostri effetti speciali. Ma noi siamo scienza, non fantascienza. Avrebbe potuto esordire così il libretto di accompagnamento alla mostra su Giovanni Bellini alle Scuderie del Quirinale. Che, a parte la folgorante partenza con la pala di Pesaro ad accogliere inaspettatamente sulla porta lo spettatore, effetti speciali non ne ha. Però l'ambizione di essere scienza sì, visto che nasce dalle ricerche dei due curatori, indagini che hanno fatto spostare in avanti di ben tre lustri tutta la produzione belliniana. 

Madonna con il Bambino, 1510 circa Un po' ingessata nella sua mise en scène, con gli enormi pannelli rosso pompeiano che ingabbiano le tele, dialoga poco con lo spettatore, ma è il prezzo che bisogna pagare perché il lavoro di Bellini si faccia ammirare in tutta la sua solennità. E forse è questo il termine più adatto per descrivere lo spirito della mostra, che si svolge a Roma e per Roma, e che quindi nasce appositamente per esaltare al massimo l'istituzionalità dell'evento, cosa in cui riesce benissimo.

L'esposizione raccoglie alcune fra le più importanti opere del maestro, provenienti dalle più diverse parti del mondo, e si snoda fra le varie sale seguendo un percorso squisitamente cronologico. Protagonisti quasi assoluti, oltre alla pala pesarese, il Battesimo di Cristo e l'Ebbrezza di Noè, con un intenso ruolo anche per altre significative opere, fra cui l'enigmatica Allegoria sacra.

Il tutto acquista un suo mirabile equilibrio anche grazie all'opera del pittore veneto, che con la sua straordinaria luminosità, in quest'ambito tanto valorizzata da risultare quasi inquietante, si dimostra autore ancora oggi in grado di rischiarare menti e anime.

Pregevole anche il fatto di non aver esagerato con madonne e bambini, che del nostro sono stati un must, come si direbbe oggi, inquadrandone la produzione nel più ampio contesto del suo intero lavoro. Lavoro che si vuol presentare come un qualcosa di innovativo per l'epoca, facendo di Bellini non un un anziano modernista ma un effettivo punto di riferimento del nuovo pittorico che si stava sviluppando in periodo di pieno umanismo.

 Quello che ne vien fuori – e che probabilmente in qualche modo converge con le intenzioni dei curatori – è di un artista che ha di fatto incarnato pienamente e meglio di chiunque altro la capacità di ancorarsi a saldi valori preesistenti per proiettarsi nel futuro. Là dove si rintraccia una sensibilità forse più arcaica che conservatrice, cantrice di un ordine ancora stabile senza essere più rigido, e che trova nella rappresentazione della natura e dell'uomo la possibilità di una superlativa armonia formale. Insieme all'impulso per la conquista di uno sguardo lucido e sereno verso nuove prospettive artistiche.

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