Fame

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FameCon Fame (Edizioni Ensemble), Isabella Corrado scrive la storia di una generazione che cammina su una corda tesa tra l’ieri e l’oggi, consapevole che il vuoto sottostante non offre alcuna rete di sicurezza.

Tutto è troppo o mai abbastanza in questo romanzo della “generazione di mezzo”, quella dei trentenni, non più ragazzi ma non ancora adulti. Come Manuela e Derek, i due protagonisti: lei, – una laurea in Storia dell’arte e un master in Design –, troppo qualificata per trovare un lavoro degno di questo nome -, lui – bello e ricco rampollo di famiglia -, incapace di prendere in mano la propria vita.
Le loro strade si incrociano nervosamente tra Roma e Londra, – la capitale del passato e quella del futuro -, e il loro è un incontro tra languori esistenziali che non riescono a trovare appagamento. Quella di Derek e Manuela è la fame emotiva di chi, divorato dalla vita, cerca di riempire il proprio vuoto interiore senza mai riuscirci.      
A metà tra romanzo psicologico e indagine sociale, Isabella Corrado descrive nevrosi collettive e tic privati di una generazione orfana del passato e del futuro, alla ricerca di sè stessa e di un posto a cui appartenere.   

Isabella CorradoIsabella Corrado, di cosa hanno fame i personaggi del suo romanzo?  
IC: ‘Fame’ sintetizza sia pulsioni, desideri e bisogni umani, che ingordigia del potere. Tuttavia il focus è sulla ‘fame di identità persa’ (identità nell’accezione sociale, civile e umana) che accomuna i due personaggi principali appartenenti alla generazione di mezzo.
C’è una voracità di fondo che si declina in modo diverso e di cui è facile cogliere le tracce. E riempirsi di qualcosa è il bisogno di tutti i personaggi, nelle sue declinazioni.     
La fame di Derek, ad esempio, è differente da quella di Manuela, eppure sono due espressioni di un disagio generazionale e in qualche modo umano. Derek eccede in tutto quello che fa, eppure ha sempre fame e mangia senza gusto, per riempirsi appunto. Per questo la dottoressa Rooper (l’analista di Derek, n.d.r.) definisce il suo disturbo eating emozionale. Derek è un mangiatore triste, il cibo lo fa sentire pieno per un attimo e gli toglie la responsabilità di pensare alle azioni doverose. Manuela, invece, non vuole semplicemente riempirsi, realmente lei ha una vita complicata, per cui ha bisogno di saziarsi di ciò che dovrebbe spettare di diritto.
Nel romanzo è chiaro questo stacco tra la necessità di nutrirsi per mancanze (come quella dei due protagonisti principali) e l’ingordigia del potere (come quella di Marco De Chinto, del direttore e della dottoressa Rooper). Una fame non necessaria.             
La fame, infine, non è soltanto un appetito, è anche l’elemento che ha tracciato la trama, il significato allegorico del testo, il linguaggio e le caratteristiche dei personaggi.

Lei descrive una generazione di giovani che non riesce a lasciare un segno nella Storia. I Millennials sono più vittime o complici?           
IC: I due personaggi principali appartengono a quella che io chiamo ‘generazione di mezzo’. «Generazione di mezzo, né troppo matura né troppo acerba. Buttata nelle cassette a scambiarsi etilene per farla marcire!». L’arco di definizione dei Millennial, in realtà, coinvolge ragazzi anche più giovani per i quali alcune cose sono cambiate (come ad esempio l’approccio al lavoro).
La generazione di cui parlo io è quella che copre gli anni dal 1983 al 1995 –– ovviamente non è un lasso definitivo ma serve a orientarci – che ha vissuto una condizione di abbandono da parte delle istituzioni, del mercato del lavoro, da parte della famiglia e, in qualche modo, da un possibile dio. La generazione di cui parlo ha vissuto dei cambiamenti epocali, senza fare excursus politico-sociali dei postivi anni ’80-90. È successo nel lavoro ad esempio, e continua a succedere, che alcuni settori (come quelli delle lettere, dell’arte, della giurisprudenza, dei beni culturali) sfruttino l’eccesso di materiale umano per innescare una macchina infinita di formazione (che inizia a 25 anni circa e va avanti a lungo). Per cui alcune attività, si ‘nutrono’ del lavoro degli stagisti, creando un circolo vizioso. Esce uno, entra un’altra. Così, si inizia a lavorare a 30 anni, ma a 30 anni si è troppo vecchi per il mercato del lavoro, perché entra in gioco già la generazione successiva. I ragazzi e le ragazze italiane, di cui Manuela è la rappresentante, si ritrovano costantemente in mezzo a un mercato che li assaggia e li rigetta. Infine messi ad ammuffire, come le passioni.           
L’attesa che le cose vadano diversamente fa ristagnare in uno stato di insoddisfazione.
Non è facile, dunque, dire se è una generazione vittima o carnefice, certo ci sono stati molti cambiamenti sociali e troppe porte chiuse, ai quali la generazione di mezzo non era preparata e neppure i genitori e i formatori lo erano perché reduci di anni dove le cose andavano diversamente. Alcuni hanno reagito con coraggio e hanno trovato la strada, altri, più deboli, hanno chiesto aiuto alla famiglia, alla psicoterapia, a una fede, a un luogo e alle istituzioni. E anche lì hanno trovato solo residui. Per cui sono diventati vittime.

Quella del suo romanzo è un’instabilità dell’anima ma anche dei luoghi. Come viene vissuto il pendolarismo tra Roma e Londra, così diffuso oggi, e cosa sanno offrire le due città?
IC: Roma e Londra hanno una sola cosa in comune: l’umidità del fiume che le attraversa.
I luoghi sono quelli che io ho vissuto. È difficile scrivere di posti sconosciuti. Roma è descritta da Derek come una città che sembra stia invecchiando senza che nessuno si preoccupi di fare dei nipoti per mantenerla allegra. Una matrona stanca e gonfia, che passa le giornate a guardarsi allo specchio in ricordo della vecchia bellezza. Oggi Roma è fondamentalmente questo: un luogo delle non-possibilità, seppure di una bellezza antica, dove diventa sempre più difficile trovare un’occupazione, avere un compenso adeguato e comprare una casa.      
Londra invece è giovane e atletica, una città che accoglie. O almeno lo era prima della Brexit, ora le cose sono molto cambiate. Io dico che Londra è the city of gentrification, dove quartieri popolari prendono valore e spesso questo accade anche alle persone. I quartieri sono un po’ la dimostrazione di questa tendenza londinese alla trasformazione e al miglioramento, Bermondsey ad esempio, un’area tradizionalmente popolare della zona sud-est di Londra, sulla riva sud del Tamigi vicino a Tower Bridge. Di certo Londra è una città dove si comincia a lavorare presto (tendenza nordeuropea) e che mette i ragazzi nella condizione di avere accesso al lavoro in automatico, con formazioni professionalizzanti, al contrario di Roma, che è la prosopopea dell’Italia.
C’è un pendolarismo sì, dell’anima soprattutto. È chiaro che ci sia una difficolta ad assestarsi in un solo luogo da parte di una generazione che si muove di continuo per motivi diversi, questo genera un distacco dai luoghi e una casa che non è più casa (almeno non nel significato tradizionale del termine).              
‘Cittadini di nessun posto’ ha un significato sociale e anche politico.

Isabella, quanto vissuto personale c’è in Fame?            
IC: La mia vita e molto diversa da quella del miei personaggi, questo è certo. Loro ne hanno una autonoma e io gli ho dato una mano a raccontarla; sono usciti fuori dalla vite delle persone, hanno preso forma e mi hanno trovata. C’è qualcosa di me sparso qua e là, più nei sentimenti e nelle idee che nel vissuto. Mentre scrivevo, a volte ero d’accordo con Manuela altre con Derek, altre ancora addirittura con la dottoressa Rooper. Mi sento vicina a loro nella ricerca continua, il pendolarismo, l’allontanamento dalla Politica quale principio ordinatore della società e l’incertezza di essere sulla strada giusta. Sono pienamente coinvolta in tutto quello che è successo e succede ancora alla mia generazione – abbiamo vissuto il decennio nero dell’occupazione, la trasformazione del modo di lavorare e le dinamiche dello ‘stagismo’ – è difficile non sentirsi parte di queste storie. Non sono fiction, riguardano tutti noi, chi più chi meno.

Pensa che darà ancora voce alla sua generazione in un prossimo libro?             
IC: Siamo tutti curiosi di guardarci dall’esterno, di sapere come viviamo o di qualcuno che ci descriva come vanno le cose, per poi identificarci e dire: «Cavolo è così anche per me!». Io penso che questo possa avvenire, l’identificazione dico, solo quando la realtà è vicina a chi scrive, nel senso quando lo scrittore vive, vede e cerca di capire il mondo in cui vive. Ecco, io cerco di capire quel che non capisco. E sono anche molto curiosa di sapere come saranno Derek, Manuela, Hamed e Pauline, fra qualche anno.

Fame
di Isabella Corrado       
Edizioni Ensemble

Isabella Corrado è nata nel 1988 a San Giorgio Lucano e vive tra Roma e Matera.
Laureata in Lettere moderne e specializzata in Filologia moderna all’Università Tor Vergata di Roma, è editor e redattrice di CriticaLetteraria. I suoi articoli sono presenti, tra le altre, sulla rivista accademica Sinestesie. Fame è il suo primo romanzo.

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