Federica De Paolis
Feltrinelli
Come si sopravvive a una “fantasmagorica mamma bionda”, avvenente e fragile, incantevole e distante?
È questa la domanda che sembra riecheggiare tra le pagine di Da parte di madre (Feltrinelli), l’ultimo romanzo di Federica De Paolis. E a cui, una figlia che non può che vivere nel cono d’ombra proiettato dalla rifulgente figura materna, cerca di dar risposta.
In una perfetta forma di controcanto letterario, De Paolis armonizza le voci delle due donne, sfida la memoria, e ricostruisce il più viscerale dei rapporti, quello madre-figlia.
La narrazione, potente e vitale, non è puro esercizio evocativo, ma messa a fuoco di un passato che ha partorito il presente. Come tutti i romanzi capaci di diventare letteratura, Da parte di madre trascende la storia delle due indimenticabili protagoniste, e si fa racconto storico e generazionale di un vissuto in cui possiamo tutte ritrovarci.
Federica De Paolis, il suo ultimo romanzo scorre sul filo del ricordo. Come si legge tra le pagine, “cosa resta imbrigliato nella mente, come si sedimenta un’immagine del passato?”
FDP: Incredibilmente, per scrivere un romanzo autobiografico bisogna fare una sorta di esercizio inverso a quando si inventa, si tratta di scremare, togliere, asciugare. Cercare delle linee guida nei ricordi e seguirle senza mai tradirle, scrivere di sé significa mettere a fuoco la memoria e stabilire quali sono le cose più incisive da mettere sulla pagina. Raccontare il nostro passato è pressoché impossibile, significherebbe scrivere di una materia esondante. Dunque l’esercizio consiste nell’isolare i fatti salienti, controllarli, aiutare il lettore a entrare in una storia che non sia unicamente ombelicale ma che incontri il vissuto di chi legge.
Il segreto è restare fedele a ciò che è rimasto indelebile, potente, indimenticabile.
La figura della “fantasmagorica mamma bionda” sovrasta l’intera storia, tanto che è difficile dire chi sia la protagonista, se lei o la figlia, ossia l’io-narrante. Come si cresce accanto a una donna così?
FDP: Mia madre non è stata una figura facile, fragile e anarchica, eppure piena d’amore, credo questo nel romanzo si evinca. Da parte di madre è anche un piccolo ritratto generazionale di donne che si sono trovate a cavallo del divorzio, spaesate e perdute. Chi è rimasto accanto a un figlio, spesso per necessità ha finito per coinvolgerlo in ogni atomo della sua vita, scavalcando dei confini che probabilmente andrebbero mantenuti. Mia madre mi ha insegnato tanto e mi ha messa in difficoltà, noi reagiamo alla relazione con il genitore tradendo i suoi insegnamenti oppure replicandolo. Io credo di aver fatto entrambe le cose, mi sono molto difesa nel campo sentimentale – mia madre ha avuto storie tormentate e turbolente che l’hanno messa al tappeto – ma ho anche affrontato la mia vita con un certo slancio e una buona dose di libertà che ho sicuramente imparato da lei.
Non posso fare a meno di chiederglielo: quanto c’è di autobiografico nel suo romanzo?
FDP: Tutto.
Ogni capitolo è ambientato a Roma, ma in un’abitazione diversa. Che cosa rappresentano le case e i traslochi per le due donne?
FDP: Ogni casa racconta un pezzo di vita, era un mondo per mettere ordine nei ricordi, ogni casa rappresenta un periodo diverso, dove accadono cose importantissime: sono come grandi pezzi di puzzle. Io insisto dicendo che la mia prima casa è stata mia madre, le case siamo noi (simbolicamente parlando intendo). Andare via da ogni appartamento in un certo senso, ha rappresentato una fuga e un nuovo approdo, una morte e insieme una rinascita.
È vero che ha impiegato quasi vent’anni per scrivere questo libro?
FDP: Sì. Scrissi la prima stesura 22 anni fa, fece il giro dell’editoria italiana, tutti declinarono il libro dicendo che era interessante ma troppo acerbo. Sono tornata a scrivere dieci anni dopo ma ho sentito che non riuscivo, l’ultima volta è stato nel 2022. Ho seguito la suggestione di un’amica scrittrice, Maria Grazia Calandrone, che mi ha suggerito di partire da un oggetto. Si è materializzata la segreteria telefonica, mia madre viveva attorno a questa aspettando la telefonata del suo amante. Subito è venuta l’idea di dividere il romanzo in case ma soprattutto quello che ho fatto, è stato raccontare anche di me, cosa che nelle versioni precedenti non era accaduto. Sono nate due storie parallele di grande impatto, una madre e una figlia circondate da molti personaggi. La scuola, il rapporto con la lettura, l’amore, la vita e infine la morte. E poi è arrivata una voce, veloce, a volte ironica, che a mio avviso, spezza la drammaticità di certi momenti. Ci sono davvero voluti vent’anni per trovarla, ma ne è decisamente valsa la pena.
Secondo lei, alla fine, cosa sarebbe bene poter ereditare “da parte di madre”?
FDP: Non so cosa sia bene ereditare, so che le madri restano dentro di noi: cosa sopravviva e perché, è un mistero. Da quando ho scritto questo libro, ho fatto infiniti gruppi di lettura, ho ricevuto milioni di messaggi, di madri, di figlie, e ho visto che anche nei rapporti più complessi, feroci, conflittuali, le madri “resistono” nella nostra interiorità, nel bene o nel male, perché è da lì che veniamo. È infinitamente vero che la prima casa è la madre. Quindi non so cosa giusto ereditare, ma sono sicura bisognerebbe accettare quello che resta, e volergli bene, immensamente bene. Custodirlo.
Da parte di madre
di Federica De Paolis
Feltrinelli
Federica De Paolis vive a Roma, dov’è nata. È dialoghista cinematografica e autrice.
Ha insegnato all’Istituto Europeo di Design. I suoi romanzi sono stati tradotti in diverse lingue e hanno ottenuto prestigiosi riconoscimenti. Tra i titoli ricordiamo, Le imperfette (DeA Planeta Libri) vincitore del Premio DeA Planeta 2020, Le distrazioni (HarperCollins), Premio Selezione Bancarella 2023. Nel 2024 ha pubblicato per Feltrinelli Da parte di madre.
Scrive per TuttoLibri – La Stampa.