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L’età indecente

et_indecenteDopo Ho 12 anni faccio la cubista mi chiamano Principessa, indagine sul mondo dei giovanissimi precisa e diretta come un pugno allo stomaco, Marida Lombardo Pijola continua la sua esplorazione del pianeta-adolescenti nel libro L’età indecente, edito da Bompiani.
Lo fa servendosi della sua esperienza di giornalista, durante la quale come inviato speciale de Il Messaggero ha coperto i più inquietanti casi di cronaca riguardanti i giovani, della sua abilità di scrittrice acuta e di raro talento, e forse, soprattutto, del fatto di essere madre di tre figli adolescenti, coi quali vive a Roma.
Per lei quella educativa è una vera e propria emergenza, che riguarda tutti, genitori e non, e come tale andrebbe affrontata ,con urgenza e interventi  decisi.  
Per il suo impegno verso il mondo degli adolescenti, Marida Lombardo Pijola ha ricevuto una targa di riconoscimento da Telefono Azzurro.

Signora Lombardo Pijola, dopo Ho 12 anni faccio la cubista mi chiamano Principessa, un altro viaggio nel mondo degli adolescenti. E’ perché lei ha tre figli di quell’età?
pijola_artCerto, essere madre di tre figli adolescenti mi ha sensibilizzato in maniera particolare sul problema, ed è comunque un osservatorio privilegiato. E’ uno dei pochi casi in cui il lavoro che fa una donna, una madre, risulta complementare e utile rispetto alla sua funzione di madre, perché in genere raramente è così.
Infatti, la protagonista femminile del mio libro, Caterina, è una madre strattonata tra il lavoro e la famiglia. Sogna addirittura di avere un clone, di introdursi in un’altra Caterina, una che lavora e l’altra che si occupa dei figli. Alla sera le due si ritrovano insieme per un drink dopo due giornate stressanti,  le raccontano e si sentono sollevate di essere in due, anziché da sole.
Personalmente mi sento una privilegiata, perché occuparmi di adolescenti, sia come giornalista che come autrice, mi aiuta anche ad essere madre.
Lei è inviata speciale per Il Messaggero. Vive a Roma coi suoi figli?
Sì, vivo a Roma con loro. Vorrei però aggiungere una cosa, mi occupo di adolescenti anche perché sono madre, non solo per questo, nel senso che credo che quella che chiamano ‘l’emergenza educativa’, una parola ormai sempre più svuotata del suo allarme, che richiederebbe più assunzione di responsabilità, è uno dei temi fondamentali che riguardano il nostro futuro. Noi siamo davanti a una situazione drammatica, di cui pochi sono consapevoli, che taglia la strada alla speranza, in qualche modo.
Quindi anche come cittadina sento il bisogno di gridare questo warning,e se potessi, vorrei scriverlo nel cielo.
Secondo lei è più difficile essere adolescenti in una grande città come Roma?
Io mi occupo di adolescenti, ma anche e soprattutto di pre-adolescenti, ovvero di bambini, e una delle cose che sto raccontando, nei miei e nei miei articoli, perché me la vedo attorno tutti i giorni, è la precocità con la quale cominciano a manifestarsi certe abitudini, certi miti, certe mentalità, certe culture.
E’ una precocità, un’accelerazione costante, continua, per cui adesso siamo arrivati all’età delle scuole elementari, per questo io oggi mi sento di dire che mi occupo di adolescenti, ma soprattutto di bambini. E’ quella l’emergenza più grave.
E’ un luogo comune che vuole le cose più facili nelle piccole città?
Io penso, e lo dico anche alla luce del fatto che giro molto, sia per presentare il libro, sia per parlare ai ragazzi delle scuole, che i fenomeni siano assolutamente trasversali, rispetto ad ambienti sociali, zone geografiche, metropoli o paesini.
Quello che li accomuna, il filo rosso che lega questa deriva, è la rete, che ormai è la dimensione dove i  ragazzi si sono trasferiti in massa. E’ lì che ormai si scambiano questi modelli formativi fai da te, che educano in maniera orizzontale, e questo ovviamente riguarda tutta Italia, nessun anfratto escluso.
Alcune delle storie più dure, più crude e più terribili di bullismo, di sessualità precoce e compulsiva, e di sballo, le ho trovate proprio nella provincia. Anzi, lì, in qualche modo, alcune abitudini sono a volte perfino più accentuate, perché bisogna combattere la noia.
La grande città ti dà qualche occasione e prospettiva in più, se vuoi. Ci sono più cinema, più teatri. La noia invece è una cappa che opprime, e che spinge a reazioni più crudeli.
L’ultimo fatto di cui mi sono occupata per il giornale, è accaduto a Castel Madama, un piccolo centro della provincia di Roma, dove un ragazzo di 18 anni ha sparato alla nuca al presunto rivale in amore, e quando ho parlato con la gente del posto e con i Carabinieri, alcuni mi sono stati descritti come  atteggiamenti quasi collettivi.
Ti chiedi perché lo fanno. In questo caso è stato per una ragazza, ma era un pretesto, poteva essere per un insulto per strada o altro.
Loro non sanno perché vivono e si comportano così. Ti rispondono: ‘Non lo so’.
Lei in tutto il libro è ben lontana dalla retorica corrente sulle e la maternità. Per usare le sue parole, ‘Virginia Wolf, Emily Dickinson, Francoise Sagan, Saffo, Simone de Beauvoir, Jane Austen. Nessuna aveva figli, e forse si sentivano rami secchi o forse no…Con questa storia dei figli ci hanno fregate tutte quante’.
Perché è ancora così difficile per le donne, parlare dei lati oscuri della vita di coppia e della maternità?
Perché c’è ancora molta retorica su questi temi, soprattutto qui da noi in Italia. Nessuno ti perdona se provi a sfregiare il  mito della mamma felice, realizzata, l’aspetto più importante per una donna. Però poi c’è il grande paradosso, che da un lato ti costringono a far figli culturalmente, altrimenti sei un ramo secco, un’emarginata, se non li fai, quasi in colpa con la società, ma dall’altro, né ti mettono nelle condizioni di  poterli fare, né di poterli tirar su in maniera costruttiva, aiutata da una struttura sociale, dai mariti o dai compagni. Ed è il motivo per cui le donne hanno paura e sono costrette a rimandare quest’esperienza, e a volte quando sono in condizione di poterla fare è troppo tardi.
Quindi è una retorica sterile, a mio avviso, perché in un paese che esalta la famiglia non si fa nulla per aiutare le famiglie, e in particolare le donne, ad avere figli e ad allevarli. Non a caso siamo ultimi in Europa nella classifica della natalità.
Ne L’età indecente, sia il figlio sia la madre sono chiusi nel loro silenzio e nella loro solitudine.
Per  Niccolò la sua è una madre Marge, come il personaggio dei Simpson, fulminata, sclerata e flashata.
Caterina si sente una quasi-madre con un non-figlio con gli attacchi di nientite, sempre chiuso in camera davanti al PC, con l’I Pod nelle orecchie o al telefonino.

Entrambi abusano di sostanze, sono soli. Non sembrano essere poi così lontani, ma non riescono a comunicare. Perché è così, nell’era della comunicazione per eccellenza?
La madre lo fa però in maniera occasionale, mentre il figlio viene travolto dal rito dell’abuso. Lei lo fa in un momento di disperazione, non è una tossicodipendente. 
In realtà Niccolò e Caterina stanno cercando la stessa cosa, e se vogliamo sintetizzarla in un’unica parola è una passione, un sogno, un progetto che ti permetta di guardare al tuo futuro in maniera costruttiva, positiva, per l’appunto, progettuale.
Entrambi cercano la stessa cosa, sono però divisi da una stratificazione di generazioni. Apparentemente è una sola, ma in realtà è come se ce ne fossero cinquanta tra loro due, perché c’è stata un’accelerazione dei tempi sociali, vertiginosa. Caterina, come tanti adulti, non ha fatto in tempo a metabolizzarla, mentre suo figlio vive completamente immerso in questo nuovo linguaggio, questi nuovi riti, questo nuovo gergo, che io ho voluto studiare quasi come se fosse uno studio antropologico. E’ la segnalazione di una cesura semantica, dopo tutto la nostra lingua ce la facciamo da noi.
Io penso che comunque la colpa sia un po’ nostra, perche non ci accostiamo con umiltà e con abbastanza curiosità a questo nuovo mondo. Guardiamo con diffidenza sia gli adolescenti, sia il mondo in cui vivono, cerchiamo di prevaricarlo coi decaloghi del nostro politicamente corretto o con le nostre sciatterie e le nostre distrazioni, non ci accorgiamo di quello che ci sta scorrendo sotto il naso. Invece io penso che toccherebbe a Caterina, alle madri, ai genitori, agli insegnanti , farsi un po’ portare per mano dai figli, dagli allievi, in questo nuovo mondo. Conoscerlo e rispettarlo, per poi accompagnare loro, e infilare in un’educazione orizzontale quello che viene dal nostro passato, dai nostri valori e dalla nostra , perché altrimenti il baratro sarà sempre più profondo e sempre più incolmabile.
In tutto questo, una figura rimane sempre sullo sfondo, quella del padre. Sembra essere estraneo a tutto quello che succede intorno a lui…
I padri purtroppo nella maggior parte dei casi sono sullo sfondo, e credo che questo sia uno dei problemi più gravi nella formazione dei ragazzi, uno degli elementi che ha determinato questa deriva, e per tante ragioni. Il padre non-collaborativo, che  continua ad applicare modelli di organizzazione familiare che ha introiettato nella sua famiglia, come se questa rivoluzione sociale non l’avesse riguardato, come se le mogli non lavorassero, come se tutto fosse fermo a com’era ai tempi della sua giovinezza, in qualche modo ottocenteschi, determina tanti effetti collaterali, tutti dannosi.
Viene a mancare al figlio un riferimento positivo, forte, carismatico, una leadership che permetta di non farsi travolgere e contaminare da modelli negativi per riempire un vuoto. E determina anche la fatica e la stanchezza, il rancore e la conflittualità in famiglia, perché ovviamente le mogli tendono ad essere molto irritate, deluse e frustrate da questo tipo di situazione oggettivamente iniqua, causa di tensioni familiari e di divorzi, che oggi sono in aumento, ma soprattutto costringe le madri a diventare delle wonder-women, che devono lavorare fuori, fare il padre, fare la madre e alla fine diventano anche ingombranti, figure difficili da gestire e impopolari.
Lei scrive: ‘Non c’è una scuola. Non ci sono genitori. Non c’è niente. Vivono da esuli, in un mondo separato. Esuli da noi, dalla vita, da sé stessi’. E ancora: ‘Per salvare loro, dovremmo essere in grado di  salvare noi stessi…’
Allora il nostro disorientamento è simile, tra genitori e figli? Le nostre difficoltà hanno in un certo senso radici comuni?
Ma certo, perché io penso che la vera età indecente sia la nostra, di noi adulti, di questa generazione. Questi ragazzi assolutamente innocenti stanno pagando le ricadute secondarie di una società che si è inaridita nei valori, nelle relazioni personali, nel rispetto dell’altro, delle regole e della legalità, ma soprattutto nelle passioni. E’ una società opacizzata nelle passioni.
Gli attacchi di nientite di Niccolò, non sono altro che una riproduzione del nichilismo, come direbbe Umberto Galimberti, che si vede attorno. Il non credere più a niente, il trascinarsi in questa specie di continua apatia interiore che poi viene riempita col consumismo, il rampantismo e i disvalori che hanno contaminato i nostri figli.
Magari lo interpretano a modo loro, in maniera integralista, ma sono gli stessi, sono quelli.

L’età indecente, di Marida Lombardo Pijola
Edizioni Bompiani   –  309 pagine

Si ringrazia la Casa Editrice Bompiani per le foto

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