Non so se sia stato il cielo di Roma a decidere, o quell’attimo sospeso per la pioggia.
So solo che Jasmine Paolini ha vinto una partita che sembrava persa.
E lo ha fatto con tutto: con la testa, con le gambe, ma soprattutto con il cuore.
Un inizio da sogno. Una fine da incubo. Ma solo del primo set.
Il primo set parte in discesa, quasi troppo facile per essere vero. Paolini fa il vuoto: 4-0 in un lampo. Diana Shnaider è spaesata, imprecisa, quasi assente.
Ma si sa, nel tennis, l’inerzia è una creatura capricciosa.
Punto dopo punto, la russa rientra, aggredisce, si fa feroce. Jasmine sembra sciogliersi come neve al sole: perde certezze, perde campo, perde il set. 7-6 al tie-break.
Sembra annichilita, come certamente è il pubblico del centrale in quei momenti. Una doccia gelida. Di quelle che spezzano le gambe. O ti svegliano.
Poi la pioggia. Breve. Simbolica. Provvidenziale.
Il secondo set parte male. Anzi, malissimo. Sotto 0-2, nervosa, spaesata, la nostra sembra in balia di qualcosa che non è solo Shnaider.
Poi le nuvole. Una pausa. Un respiro.
Piove per cinque minuti. Quanto basta.
Quanto basta per ascoltare le parole giuste. Quelle della panchina, ma soprattutto quelle di Sara Errani, lì accanto, come un’amica che sa quando parlare e quando solo guardarti.
Jasmine rientra. Diversa.
Non perfetta. Ma convinta.
La risalita. Punto dopo punto. Sguardo dopo sguardo.
Si rimette in scia. Rimonta. Spinge. Si prende il secondo set 6-4, in un crescendo di energia che non è solo fisica: è mentale, emotiva.
E il pubblico lo sente. Lo accompagna. La spinge.
Il terzo è un atto di fede.
Shnaider sbanda. Protesta. Gesticola.
Jasmine no. Resta lì. Lucida. Presente.
Fa il vuoto, stavolta per davvero. 6-2.
E stavolta non si torna indietro.
Semifinale. A Roma. Con tutto l’amore del mondo.
C’è qualcosa di potente e delicato insieme in questa vittoria. È il tennis che emoziona, che soffre, che si trasforma.
È la storia di una ragazza che non ha mai smesso di provarci.
E che ora, a Roma, sta scrivendo la pagina più bella della sua carriera.
E noi, che l’abbiamo seguita col cuore in gola, non possiamo che dirle grazie.