stai a vedere che ho un figlio italiano
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Stai a vedere che ho un figlio italiano

stai a vedere che ho un figlio italianoCosa succede ad un giornalista americano che un giorno decide di lasciare una carriera già avviata e si trasferisce a Roma quasi senza parlare una parola di italiano?
Che il suo spirito di intraprendenza tutto americano viene messo duramente alla prova.
E che anche per chi come lui spiega il mondo per professione, far capire la realtà italiana è davvero un’impresa.
Dalla sua esperienza di americano a Roma è nato un libro, ‘Stai a vedere che ho un figlio italiano’, pubblicato da Mondadori, dove per una volta ‘gli stranieri’ siamo noi.

 

Jeff Israely atterra a Roma in una giornata piena di sole, e ad attenderlo ci sono la donna che diventerà sua moglie e la madre dei suoi figli, e una Cinquecento bianca.
Dell’Italia sa che è un paese ricco di bellezza e , ma col tempo impara a vederlo con gli occhi di chi ci vive ogni giorno. E le sorprese non sono poche.
Come tanti stranieri, Israely pensa che l’Italia sia un paese speciale, una meta imperdibile, ma piano piano coglie tra gli italiani un senso di delusione e di denigrazione verso la propria patria.
Ma chi sono poi ‘gli italiani’? Comincia a farsene un’idea quando si occupa degli Europei e dei Mondiali di Calcio come cronista sportivo, e scopre non un popolo unito a sostenere gli Azzurri, ma tanti gruppi distinti di tifosi, preoccupati più per le performance del beniamino della propria squadra del cuore, che per i risultati dell’Italia.
‘Dovete capire che questa ambivalenza nei confronti della nazionale di calcio, appare, agli occhi di uno straniero, come un’ambivalenza nei confronti delle lasagne!’.

Ma ciò che lo catapulta veramente all’interno della vita italiana è l’arrivo del suo primo figlio, a cominciare dalla scelta del nome.
Potrebbe essere un nome dal sapore italiano come Antony, ad esempio, ma la moglie inorridisce all’idea che possa venire chiamato Tony. Oppure legato alla tradizione come Gennaro, che viene però bocciato quando il futuro padre scopre che si tratta di un santo ‘con disfunzioni ematiche’.
Scartati anche Leonardo e Michelangelo per non caricare il nascituro di troppe aspettative, viene scelto Tommaso, Tommy per i nonni oltreoceano.
Così cominciano i primi mesi di pannolini e pappette, che il neo-papà scopre vengono preparate dalla moglie al posto degli omogeneizzati.
Perché ai bambini non si danno ‘schifezze’, e perché la pastina con olio e parmigiano ‘fa bene’.
Tutto qui. E queste parole, meglio di qualsiasi studio etno-gastronomico, gli fanno capire veramente ciò che per gli italiani è ancora il rapporto con il cibo: naturale, semplice, quasi ovvio.

Israely scopre ben presto che in Italia avere un bambino è un evento che coinvolge l’intera comunità, la quale sommerge la famiglia di consigli spesso non richiesti, e che fa fermare tante persone per strada o su un autobus a vezzeggiare il nuovo arrivato, per poi aggiungere che bisognerebbe vestirlo di più, o, cosa non così abituale per un genitore americano, toccarlo e sistemargli i vestitini.
Ma, ( metafora della vita italiana?), Israely scopre anche che nel Bel Paese quando si ha un figlio si viene spesso lasciati terribilmente da soli.
E così, quando arriva il momento di scegliere la scuola dove mandare il figlio, viene in contatto con una realtà dove la comunità sembra scomparire ed esistere solo il singolo, con le sue conoscenze e i sentito dire.
Ma è proprio grazie al ‘Mo’ mi informo’ e al passaparola, che il piccolo Tommy avrà la fortuna di avere per maestra Patrizia, un esempio di come tanti italiani, nonostante il sistema, lavorino con dedizione esemplare.

Poi un giorno, senza nessun particolare episodio scatenante, la famiglia Israely sente che la propria esperienza in Italia è finita ed è il momento di trasferirsi altrove.
‘E perché? Per via di noi e del paese, dei nostri obiettivi professionali e della sensazione che non sarebbe stato poi tanto male se i nostri figli fossero diventati un po’ meno italiani‘.
Partono alla volta di Parigi, dopo aver riflettuto su un futuro nel nostro paese:’Il calore e la sicurezza della famiglia allargata che compensano il fardello nazionale della raccomandazione; la scala equilibrata delle priorità della vita alla quale fa eco la mancanza di grandi ambizioni; l’efficienza moderna in parte sacrificata sull’altare della bellezza immortale’.
Neanche a dirlo, la cosa più difficile è stata dirlo a Tommy, che tra le lacrime singhiozzava: ‘Non voglio andare a vivere a Parigi. Non voglio andare a vivere a Parigi. Voglio stare a Roma. Per sempre’.

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