Se basta un fiore art

Se basta un fiore

Se basta un fiore artNon c’è solo una siepe tra Clara Bertelli e Max De Santo. A dividere le ville di lusso dove i due ragazzi vivono con i genitori sono confini emotivi, barriere esistenziali che rendono chi vi abita invisibile a sé stesso e agli altri. In questo, Se basta un fiore, l’ultimo libro di Giulia Blasi edito da Piemme, è un perfetto romanzo crossover, una storia che coinvolge adolescenti e adulti.

Non lasciatevi ingannare dalla copertina dove un tappeto di fiori sboccia ai piedi di Roma, perché nei giardini in zona Giustiniana dei Bertelli e dei De Santo, tra gli angoli curati dal giardiniere si nascondono bottiglie vuote e mozziconi di canna. E’ il terreno dell’adolescenza, fatto di entusiasmi e di solitudine, di paura e di speranza, da sempre zona minata per i genitori.
Quello di Se Basta un fiore è un mondo costruito letteralmente dagli adulti, una Roma che si sta sgretolando, soffocata tutt’intorno da quartieri dormitorio opera di palazzinari senza scrupoli. Come Adriano De Santo, padre di cinque figli, tutti fonte di delusione per non aver voluto seguire la sua carriera nella cementificazione, tranne Max, il più piccolo, per cui una speranza ancora c’è. Sarà proprio lui, invece, a scuotere quel mondo con tutta la forza della sua adolescenza, trovando in Clara, sua vicina e coetanea, più di una complice. Max, erede designato del re del cemento, e Clara, coi suoi genitori radical chic, metteranno in atto una ribellione che costringerà tutti, per la prima volta, a guardare il passato per costruire il futuro.

Giulia, perché ha scelto di affidare la narrazione di Se basta un fiore alla voce degli adolescenti?

GB: Sono loro che portano la storia, sono le loro voci che ho sentito per prime, è stato un processo naturale. Poi mi divertiva l’alternanza fra il monologo interno scaciato e distaccato di Clara e quello intimista e iper-analitico di Max. È un lavoro anche quello, trovare due voci che non si assomiglino per niente, che siano in linea con i personaggi a cui appartengono.

Nel suo romanzo, nell’epoca dei social e dell’immagine, i ragazzi sentono di non venir visti veramente da nessuno e gli adulti preferiscono spesso non guardare. E’ l’era della comunicazione o dell’incomunicabilità?
GB: I ragazzi non hanno mai parlato con i genitori. L’adolescenza è per sua natura un momento di separazione, la differenza si gioca sul genitore che sa e capisce e sa farsi da parte rimanendo presente e vigile, e quello che fallisce nel suo essenziale compito di guida. I genitori di Max e Clara appartengono alla mia generazione, che ha vissuto la difficile transizione fra il mondo analogico – in cui si viveva solo nel proprio quartiere, nel proprio paese, sotto gli occhi di tutti ma anche a rischio isolamento se si era diversi – e quello digitale, in cui tutti parlano con tutti ma il rischio è di non riuscire a stabilire rapporti profondi con le persone. Non trovo che siano cambiate le persone, però, sono cambiate le modalità di comunicazione. La solitudine dei ragazzi è fisiologica ed eterna.

Tra figli che usano alcol, sesso e droghe per anestetizzarsi emotivamente, e genitori aggrappati al proprio status quo, c’è ancora posto per la ribellione, per un sogno?
GB: Sia Max che Clara a loro modo la fanno, una ribellione. Clara si ribella all’omertà del suo gruppo sociale, al conformismo del suo essere “ragazza di Roma Nord” e all’ipocrisia borghese dei genitori. Max si ribella al padre e al suo destino familiare. Le loro storie sono basate sulla rottura delle aspettative. Più in generale, certo che sì: non esistono grandi conquiste che non passino per il superamento delle regole che ci intrappolano.

Questo è il suo primo libro che ha un’ambientazione precisa, la città di Roma. C’è un motivo particolare?
GB: Ce ne sono molti. Roma era perfetta per quello che mi serviva, sconfinata e abbandonata, il posto perfetto per buttare bombe di semi nei cantieri abbandonati e nei giardini incolti. (La cosiddetta guerilla gardening, n.d.r.) È anche la città che amo, che mi ha adottata e che mi ha dato una casa e un’identità. Roma è difficile, ma ti libera. È una città dove trovare se stessi rimanendo fedeli alla propria natura è ancora possibile proprio perché offre molta umanità ma poca struttura. Ed è grande, tanto grande, così grande che si può scegliere se vivere sempre nel proprio villaggio o cambiare completamente vita trasferendosi in un quartiere lontano, che è letteralmente come cambiare città. Roma è un mondo. Forse pure un po’ troppo. Ma per fortuna negli ultimi anni ha ricominciato a dare qualcosa in termini creativi e di innovazione al resto del paese. Può fare di più e di meglio, e io vorrei essere qui a vederla risorgere.

Se basta un fiore
di Giulia Blasi
Edizioni Piemme

Giulia Blasi è friulana di nascita e romana d’adozione. Dal 2014 conduce Hashtag Radio 1, striscia di satira quotidiana su Twitter, oltre a essere scrittrice, creatrice e curatrice di contenuti per il web. Con altre cinque autrici cura The Book Girls, sito dedicato alla narrativa Young Adult. Scrive per Marie Claire ed è caporedattrice de il Tascabile, periodico digitale Treccani.
Prima di Se basta un fiore, ha pubblicato Nudo d’uomo con calzino, Il mondo prima che arrivassi tu e Siamo ancora tutti vivi.

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