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Il film sulla Banda della Magliana

romcrim_fvRoma, una città da romanzo. Criminale
Intervista a Francesco Venditti

Roma nel cuore. Come il cinema. Francesco Venditti è uno dei giovani attori che, insieme a Riccardo Scamarcio, Elio Germano e pochi altri, stanno dimostrando di essere una promessa mantenuta del nostro indubbiamente fornito parco-attori. E non a caso, insieme agli altri due, si è ritrovato anni fa ad affiancare, in un sostanzioso cast, fior di colleghi all’epoca già più affermati: Pierfrancesco Favino, Kim Rossi Stuart, Claudio Santamaria, Stefano Accorsi per citarne solo alcuni.

Il film era uno dei più belli girati in Italia – e in particolare a Roma – negli ultimi anni, “Romanzo criminale”, diretto da Michele Placido e tratto dal libro di Giancarlo De Cataldo. Un’esperienza che Francesco rievoca non senza una certa emozione.

francesco_venditti1Un film corale con degli attori straordinari che ha dato dei risultati straordinari. La scena dove vi ritrovate tutti dopo il rapimento del conte è incredibilmente vigorosa, rappresenta davvero una delle chiavi di lettura del film, insieme a quelle delle uccisioni del Libanese e del Dandi. Dove eravate? L’idea che dava era di un ambiente pasoliniano con luci caravaggesche, quasi a voler sottolineare una sorta riscatto, anche se di una ferocia inaudita…
Ci trovavamo in una casupola tra Primaporta e Sacrofano, se non ricordo male. Comunque dentro la campagna laziale. Per quanto riguarda le luci, lì c’è stato un lavoro di squadra fra il direttore della , Luca Bigazzi e Michele, ma bisogna dire che quando le cose riescono così bene c’è anche un quid  perché la stessa cosa è avvenuta fra noi attori. Non è stata tanto un’intesa fra personalità e caratteri, devo dire, quanto piuttosto la sensazione nettissima, che ci accomunava tutti, di stare facendo qualcosa di davvero significativo, ricco di un’energia creativa indescrivibile. Una magia. inspiegabile, chiamiamolo fortuna… quelle inquadrature, quelle scene, l’amalgama degli attori…

Immagino… 
Adesso stanno facendo la serie per Sky e spero abbiano lo stesso successo del film, ma Placido allora aveva intorno un gruppo di attori straordinari che, al di là di tutto, è riuscito a dirigere con una maestria rara. Grandi interpreti davvero in tutti i ruoli: al di là dei protagonisti Favino, Rossi Stuart, Santamaria, Accorsi ecc., e del resto della banda come me, Germano e Scamarcio, c’erano attori del calibro di, ad esempio, Massimo Popolizio e Bruno Conti. Non voglio dire che si sia raggiunta la perfezione ma, malgrado non riveda il film da molto, so che rifarei tutto esattamente nello stesso modo.

Qualcosa di significativo, dicevi. In che senso?
Nel senso che stai raccontando una storia vera, legata a persone vere. Raccontare una storia vera è sempre più affascinante che raccontare una storia originale. Ma ti dà anche più responsabilità. Mi è successo lo stesso quando ho girato “I Mille” con Stefano Reali o “Il Grande Torino” con Claudio Bonivento: ti occupi di cose che sono successe veramente, e quindi devi anche stare attento ad essere all’altezza. Quando parli della banda della Magliana, se ci pensi bene, stai parlando di una città come Roma, di un’esperienza che l’ha toccata profondamente, anche e soprattutto nelle persone che l’hanno vissuta direttamente, sulla propria pelle; ed è proprio di questo che devi essere all’altezza, devi riuscire a dare il massimo della credibilità alla cosa.

Già, Roma… che non è solo location, in questo film, ma ha anche un valore evocativo, simbolo di potere e di conquista, un po’ come nel “Il gladiatore” di Ridley Scott. Nella seconda delle scene di cui abbiamo parlato, non a caso, il Libanese si paragona ad un imperatore romano… e viene ucciso in un Vespasiano.
Scena stupenda, per me una delle più memorabili anche proprio a livello umano. Inizia tutto con  la partita di poker persa dal Libanese. Abbiamo girato quella scena ne “Lo Scarabocchio”, a Trastevere. Ma al di là del luogo fisico dove è stata girata questa scena, come tante altre, quello che colpisce sono proprio i richiami alla Roma non solo degli anni ’70, quelli in cui si sono svolti i fatti, ma anche la Roma precedente, quella del boom economico, dell’industrializzazione, della mancanza di un piano regolatore, di una convivenza difficile e complessa, priva di vera progettualità e prospettiva. Come può essere mettere un pisciatoio in mezzo a una piazza di Trastevere.

Parliamo di Bufalo, il tuo personaggio. Rappresenta un po’ la follia, l’irrazionale che permea questa pur lucidissima scalata alla conquista di Roma. Non a caso è in tutte e tre le scene di cui abbiamo parlato, ed è quello che mette fine a tutto uccidendo il Dandi…
Sì quella scena l’abbiamo girata a via Margutta. È vero, Bufalo è l’aspetto folle ma anche il braccio della banda. Quando c’era da sparare, sparava lui. L’aspetto così fortemente razionale dei capi a confronto della feralità incontrollata del mio personaggio è stata una scelta narrativa e registica precisa, si voleva sottolineare la differenza fra chi comandava in modo freddo e spietato e chi eseguiva con brutalità sporcandosi le mani. Le indicazioni che mi sono state date dal regista sono state proprio queste: Bufalo doveva essere uno completamente matto, strafatto di cocaina e che non perdeva occasione per scatenarsi. A quel punto io ho deciso di adeguarmi totalmente a questo registro interpretativo, senza pormi limiti: animalità pura. Placido ha condiviso questa mia scelta, e abbiamo lavorato insieme sulle scene che ho fatto. E anche lì è stata una questione di fortuna (anche se chiamarla così forse è un errore), perché quando tu giri non sai esattamente cosa ne verrà fuori, l’effetto vero dovrà essere dato in fase di montaggio; solo lì si saprà dove quello che era l’intento del film riesce ad arrivare. No, è vero, non è fortuna: è quella “fiammella” che si accende durante la scena, e che, quando la vedi, significa che quella scena doveva essere girata così, e in nessun altro modo.

C’è anche il fatto che il ruolo mi si attagliava perfettamente, tanto è vero che questo me ne ha portato un altro nel film Polvere, diretto da Danilo Proietti e Massimiliano D’Epiro, dove faccio un addetto di recupero crediti soprannominato Fastidio, cattivo quanto Bufalo e forse anche di più, tradotto però in chiave moderna.

Al di là della non facilità psicologica del carattere, devo dire, Bufalo mi ha davvero permeato: anche sul set stavo spesso dove non dovevo stare, con Michele che puntualmente mi cacciava via. Ma questo è uno dei sintomi del clima che si era creato su quel set. Io ora non mi posso lamentare, sto girando due film che mi stanno dando grandi soddisfazioni, ma penso che un’atmosfera simile, come quella che ci ha unito e stimolato lì, sarà estremamente difficile che si ripeta.

Scritto da VS

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